La via dei monasteri
Dopo l’invasione dei Longobardi nel VI secolo, si assiste alla contrapposizione tra i nuovi conquistatori in Emilia ed i Bizantini in Romagna.
Finisce per perdere così di importanza per le comunicazioni con l’Italia Centrale l’asse Via Emilia-Via Flaminia e si impostano nuovi attraversamenti appenninici.
Nel reticolo di sentieri che da Piacenza vanno verso la Toscana e Roma, si segnala quello definito Via dei Monasteri longobardi, citato come Via Romea dal cronista Codagnello, potenziato dal Comune di Piacenza nel XII secolo quale alternativa alla Via di Monte Bardone, controllata nel suo ultimo tratto dal Comune di Parma.
“Come ovunque, anche nelle Valli del Taro e del Ceno, -ci ricordava il medievista Vito Fumagalli- chiese e monasteri erano largamente presenti con i loro edifici, le loro proprietà ed i loro fedeli, fin nelle aree più impervie.
La vita del primo Medioevo è organizzata in gran parte, in ogni suo aspetto, anche nell’economia, dagli enti ecclesiastici, nella nostra zona particolarmente ricchi e potenti.
Il paesaggio, con il passare del tempo, si animava della presenza sempre più fitta di chiese, oratori, piccoli e grandi monasteri, che con le loro proprietà arrivavano quasi ovunque”.
Bobbio, infatti, fondata nel 612 o 614 da S. Colombano, fu un grande centro culturale e librario, con beni che si estendevano dai laghi prealpini fino alla Toscana; tra di essi anche Calice di Bedonia e Borgo Val di Taro, mentre attraverso la dipendenza monastica di Boccolo dei Tassi, ora nel Comune di Bardi, la grande abbazia longobarda di S. Colombano nell’alta Val Trebbia attraverso la Via dei Monasteri garantiva il collegamento, a Pontremoli, con la Via di Monte Bardone.
Da Piacenza, dunque, che nel Medioevo risulta dotata di un numero elevato di ospitali per assistere i pellegrini, attraverso Cadeo si giunge a Fiorenzuola, la Floricum dell’itinerario di Sigerico della fine del secolo X. Qui era presente un’antica fondazione monastica, legata a quelle di Tolla e Gravago, lungo l’asse viario orientato verso Bardi e di qui, attraverso Borgo Val di Taro,verso i passi
appenninici.
Sono numerose le località che si incontrano lungo il percorso tra cui Castell’Arquato (castrum longobardo e medievale, ricchissimo di arte romanica), Lugagnano e Veleia, (raggiungibile con una breve deviazione), divenuta celebre per il rinvenimento,nel 1747, della famosa Tabula Alimentaria, grande iscrizione su bronzo di epoca romana (II sec.); Monastero di Morfasso, in alta Val d’Arda, con l’importante abbazia di S. Salvatore e S. Gallo di Tolla. Purtroppo di questo edificio ben poco è rimasto per la franosità del terreno e per il probabile reimpiego di materiali.
Dopo Morfasso si giunge al Passo del Pelizzone, attraverso cui ora si entra in provincia di Parma. Qui ci accoglie una casa, vigile come l’ospitale o xenodoco citato in antichi documenti piacentini dei secoli XIII e XIV.
Il percorso prosegue poi toccando Cogno e Gazzo per giungere a Bardi, centro di origine longobarda, la cui rupe di diaspro rosso é già incastellata nell’898. Sempre a Bardi, documentata dall’anno 833, in località S. Protaso, chiamata Odolo nell’Alto Medioevo, sorgeva l’antica chiesa, sede anche di possessi del monastero modenese di Nonantola, fondato dal re longobardo Astolfo e dal cognato S. Anselmo.
Si doveva poi guadare il Ceno per raggiungere Gravago, con un castrum e un monastero, di cui resta traccia solamente nel nome della chiesa e del vicino gruppo di case.
Dopo Gravago, Osacca e il valico S.Donna, la strada raggiungeva Borgo Val di Taro, le cui origini altomedievali si identificano con la presenza dell’importante corte di Torresana, dipendente dal monastero di S. Colombano di Bobbio che nel 1207 possedeva ancora cinque cappelle insieme alla pieve di S. Giorgio, il cui arciprete era tenuto a ospitare l’abate di Bobbio con il suo seguito quando andava a Roma.
I passi del Borgallo, con l’ospitale di S. Bartolomeo, e del Bratello permettevano di raggiungere Pontremoli e la via Francigena attraverso la Pieve di Vignola oppure il castello di Grondola.
Documento pubblicato
grazie alla concessione
e alla collaborazione della
Comunità Montana
delle Valli del Taro e del Ceno
Illustrazione di Paolo Sacchi
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