Silva Arimannorum, la selva degli uomini liberi longobardi: così nei documenti è citata la zona che forse andava dall’attuale confine con la provincia di Piacenza sino alla sponda del Ceno sottostante Bardi, che richiama un’economia che fu a lungo silvo-pastorale, con un allevamento brado nei boschi, con la raccolta della castagne, delle noci, insieme alla caccia anche di animali di grossa taglia, alla pesca e a colture cerealicole.
E’ ancora estremamente ricca la vallata del Ceno dal punto di vista botanico, soprattutto nella sua parte media, che in pratica corrisponde al territorio del Comune di Bardi. La grande varietà geologica, insieme alla discreta variazione altimetrica tra il letto del Ceno ed i monti limitanti la valle, hanno permesso la formazione di numerosissimi ambienti diversi. La diminuzione della pressione antropica, che comunque qui non è mai stata devastante, ma anzi ha avuto l’effetto di aumentare la diversità biologica, e il limitato sfruttamento dei pascoli hanno creato condizioni ottimali per numerose specie vegetali.
In prossimità del Ceno troviamo la caratteristica vegetazione golenale, in genere quella più tipica di zone aride, a volte, però, interrotta da piccole zone umide con canneti e boschi ripariali. Fitte macchie di salici, pioppi e ontani si alternano a zone ghiaiose colonizzate da olivello spinoso.
Nelle garighe, associazioni di arbusti molto bassi, sempreverdi, con numerose specie erbacee, e nei querceti secchi ai lati del torrente, in maggio e in giugno abbiamo splendide popolazioni di orchidee xerofile, delle zone aride, come le Ophris apifera, bertolonii, sphegodes, insectifera, le Cephalanthera, a volte specie non comuni, come il Limodorum abortivum e l’Himantoglossum adriaticum.
Allontanandoci dal torrente troviamo zone coltivate, ricche di prati stabili, sempre intercalate da incolti e da macchie di bosco, in genere querceti cedui, a volte qualche splendido lembo di fustaie rade, ricche di specie nemorali. La zona più tipica è quella di Casanova, particolarmente aperta e soleggiata.
Il gruppo del M. Lama, tra Gazzo e Boccolo dei Tassi, ed il gruppo Ragola-Camulara sono caratterizzati geologicamente dalle ofioliti (serpentini, gabbri, basalti, diaspri). Sono rocce scure che si scaldano molto e sono ricche di magnesio, elemento tossico per la vegetazione: la copertura vegetale é pertanto scarsa, ma su di esse si sviluppano associazioni di piante molto particolari ed interessanti, in grado di adattarsi alle condizioni-limite di questi habitat: tipiche sono alcune felci, come l’Asplenium cuneifolium, chiamato appunto felce dei serpentini o la Cheilanthes marantae.
In tutte queste zone abbiamo estese faggete ma non troviamo castagni, che abbondano invece nelle zona di Gravago, su arenarie. Ora queste piante, il cui frutto era un tempo elemento base dell’alimentazione dei montanari, sono maestosamente invecchiate e spesso ridotte a grandi tronchi cavi, particolarmente adatti a dare ospitalità ai rapaci notturni come l’allocco e la civetta, ai picchi, a ghiri,moscardini e scoiattoli, oltre a nutrire roditori e cinghiali. In questi boschi troviamo le associazioni tipiche dei boschi mesofili, cioé mediamente umidi.
Le zone sommitali sono caratterizzate da splendidi pascoli (M. Ragola, M. Lama, M. Carameto, M. Barigazzo, M. Pelpi) che in primavera e all’inizio dell’estate si coprono di incredibili fioriture: notevoli i crochi in marzo sul M. Pelpi e gli asfodeli all’inizio di giugno sulla Tagliata, un contrafforte del M. Barigazzo.
Alcuni ambienti particolari, ad esempio le zone umide dei versanti nord-orientali del M. Lama o le torbiere del Ragola sono veri gioielli dal punto di vista della biodiversità.
Documento pubblicato
grazie alla concessione
e alla collaborazione della
Comunità Montana
delle Valli del Taro e del Ceno
Illustrazione di Paolo Sacchi
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