L’unità dell’Europa trova le sue radici nel Medioevo e nell’unità dell’Europa cristiana, di cui ci parla Rodolfo il Glabro nelle sue Cronache:”...in quel tempo infieriva sugli uomini un terribile flagello: un fuoco nascosto che, quando prendeva un arto, lo consumava e lo staccava dal corpo. ...Una fame rabbiosa spinse gli uomini a divorare carne umana. Viandanti venivano assaliti... e poi tagliati a pezzi, cotti al fuoco e divorati. ...”
In questa Europa finisce per essere l’unica speranza la fede. Per inseguirla i pellegrini percorrono quel reticolo di strade che porta a Santiago di Compostela in Spagna, a Roma e Gerusalemme, i luoghi sacri per eccellenza. A Santiago si venera il corpo dell’apostolo Giacomo, Roma è il centro della cristianità, dove era stata fondata la Chiesa, con le tombe di Pietro e Paolo, Gerusalemme custodisce il sepolcro di Cristo.
All’interno di questo complesso e articolato sistema viario, la Via Francigena è uno dei più importanti tracciati nel collegamento tra il nord dell’Europa e Roma. Esisteva già in epoca romana, ma assunse grande importanza durante la dominazione longobarda (VI-VIII sec.), quando chiese e monasteri vengono delegati alla gestione del territorio. Attraverso questo percorso, infatti, che era allora chiamato Via di Monte Bardone, si metteva in comunicazione il regno longobardo di Pavia con i Ducati longobardi meridionali, aggirando le zone controllate dai Bizantini. Dopo la Riforma di Gregorio VII (1073), le chiese diventano anche strumenti di narrazione per proporre una nuova religiosità, che rinsalda l’ortodossia cattolica contro le eresie e insieme vuole affermare la supremazia della Chiesa sull’Impero.
Sulla Via Francigena, costellata di ospizi, cioè di luoghi per il cambio degli animali e per permettere al pellegrino di rifocillarsi e di riposare, si incontra una varia umanità: pellegrini per fede, per penitenza, viaggiatori, mercanti. L’ideale ricostruzione del tracciato è possibile grazie alle loro memorie di viaggio. Sigerico, ad esempio, Vescovo di Canterbury, annotò, durante il suo ritorno da Roma (990), tutte le possibili soste fino alla Manica.
Nel Duecento, con lo sviluppo di nuovi traffici commerciali, iniziò il declino per questo percorso, che non fu mai, però, del tutto abbandonato.
Documento pubblicato
grazie alla concessione
e alla collaborazione della
Comunità Montana
delle Valli del Taro e del Ceno
Illustrazione di Paolo Sacchi
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