Bardi castello e borgo
Il nucleo più antico, altomedievale, si sviluppava a semicerchio ai piedi del castello, all’interno di un bastione. Lo sviluppo successivo rettilineo lungo l’attuale via Pietro Cella é di periodo rinascimentale. Immagini del 1604-1617 mostrano un aspetto molto simile all’attuale, con una porta di accesso sommitale ora perduta.
All’interno del vecchio nucleo, in piazza del Grano ecco subito un interessante porticato sorretto da due colonne con capitelli fogliati. Osserviamo anche piccole abitazioni con tetto in lastre e portali ad arco con architravi finemente scolpiti. Sempre nel vecchio borgo un edificio significativo: la chiesa di S. Francesco, ora in restauro, futura sede delle attività del Centro Studi della Valle del Ceno (1).
Percorriamo via Cella. Si incontra, quasi alla fine, un edificio contraddistinto da un porticato con colonne a capitello, sede del Comune fino al 1870, tuttora denominato Teatro Vecchio (2).
Infatti, nel 1832 Maria Luigia in visita a Bardi offrì un contributo per costruire nel palazzo un teatro, di cui resta solo una balconata. Attraversiamo ora la piazza principale: nella chiesa di S. Maria Addolorata, edificata negli anni Trenta, é conservata una Pala del Parmigianino, raffigurante lo Sposalizio mistico di S.Caterina (3).
Dedicata a S. Giovanni Battista é l’antica chiesa parrocchiale di Bardi (4), succeduta a quella dei SS. Protaso e Gervaso, documentata dall’833, che si trovava fuori dal borgo, presso l’attuale cimitero.
Sempre fuori dalla borgata, ma dentro la giurisdizione della Parrocchia, è la chiesa romanica di S. Siro, ricordata in un documento del 1010.
L’edificio, però, che caratterizza ancora oggi Bardi è il castello (5), composto da diversi corpi di fabbrica, chiusi da una cinta muraria che delimita la parte più alta del grande masso di roccia rossa, il diaspro, su cui sorge. Si entra attraverso una lunga rampa che sale fiancheggiata verso valle da un muro munito di feritoie, poi, attraverso una bassa volta, si raggiunge una piazzola che domina la vallata. Con un’altra rampa si raggiunge il grande arco di ingresso con le fessure per le catene del ponte levatoio. Un ampio androne voltato dà inizio alla parte alta del castello, che, attraverso una nuova rampa, costeggiata da fabbricati di servizio, immette nella grande piazza d’armi. Ad un livello ancora più alto, diviso dalla piazza da un forte muro con portale rinascimentale, si trova un nuovo cortile con portico su cui si affacciano la parte residenziale principesca e l’imponente mastio che domina sulla vallata. All’interno saloni di rappresentanza si succedono in una lunga infilata, alcuni con soffitti in legno a cassettone decorati da mensole a cariatidi e telamoni, altri con volte dipinte con vedute dei possedimenti della famiglia Landi, che per quattro secoli vi ebbe la sua signoria. Nella sala più grande vi sono tracce di affrescature a grottesche cinquecentesche simili a quelle di Torrechiara. Lunghi camminamenti coperti svolgono ancora oggi un suggestivo percorso di ronda da cui è possibile osservare l’abitato sottostante e il territorio. Sotto il castello, in grandi cavità interrate ricavate nel sottosuolo roccioso, erano collocati locali di servizio, magazzini e stalle, in grado di rendere autosufficiente il castello per lunghi periodi di assedio.
Il castello viene ricordato per la prima volta nell’898, quando il vescovo Everardo di Piacenza acquista da un abitante del luogo la metà dell’imponente masso di diaspro rosso e del terreno vicino, su cui costruire un rifugio, durante le incursioni, per i religiosi e i villani che abitavano i numerosi possessi della sua chiesa nelle Valli del Ceno e del Noveglia: da allora esso costituirà la caratteristica più marcata del villaggio, di probabile fondazione longobarda. La sua storia si identifica in gran parte con la famiglia Landi, a iniziare da quando Ubertino acquista i diritti sul castello, distrutto e ricostruito con ulteriori fortificazioni nel 1255.
Con la crescita del potere e dell’autonomia di questa famiglia, da vecchio presidio militare fortificato si trasformò in un efficiente castello-residenza a presidio del borgo di Bardi, adatto all’esercizio del potere su un ampio territorio dell’Appennino.
Alla fine del Cinquecento Federico II Landi dota il castello di una quadreria, di una esposizione di armi e di un archivio ordinato di documenti. Tre anni dopo la morte di Polissena, ultima discendente della famiglia, lo stato sarà acquistato da Ranuccio II Farnese e Bardi diventa entità periferica del Ducato di Parma. Passò, infine, ai Borbone. Dopo essere stato carcere militare, sede degli uffici comunali fino agli anni Sessanta, dopo lavori di restauro, è stato riaperto al pubblico.
Documento pubblicato
grazie alla concessione
e alla collaborazione della
Comunità Montana
delle Valli del Taro e del Ceno
Illustrazione di Paolo Sacchi
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