La cittadina di Albareto, 2.200 abitanti, si trova immersa nelle bellezza incontaminata dell’Appennino Parmense, ricca di boschi, vegetazione, corsi d’acqua e servita da un funzionale crocevia di strade e collegamenti anche con le vicine regioni Liguria e Toscana. Ubicata a circa 25 km dalla A15 e poco più di 10 Km dalla Ferrovia è collegata altresì alla vicina Lunigiana dal Passo dei Due Santi e Passo del Brattello ed alla Riviera di Levante dal Passo della Cappelletta-Cento Croci e Passo del Bocco.
Abitato sin dall’età del Bronzo, il territorio di Albareto vide succedersi alcuni dei popoli più prestigiosi dell’antichità: dai Liguri, ai quali si riconosce il merito di aver istituito il sistema delle attuali Comunalie, agli Etruschi (la cui presenza è comprovata da un prezioso cippo funerario ritrovato sul monte Ribone), che caddero però sotto l’inarrestabile avanzata delle truppe Romane. Con la fine dell’Impero, il comprensorio fu diviso tra Goti (a sud) e Longobardi (a nord), entrando poi a far parte della diocesi dei vescovi di Luni Sarzana. Ben presto l’area entrò nell’orbita dei signori di Varese Ligure, i Fieschi, seguiti poi, nel XVI secolo dai Farnese, che ne legarono definitivamente le sorti a quelle del ducato. Per assicurarsi la fedeltà degli abitanti di questa zona di confine, Maria Luigia concesse loro alcuni privilegi (ad esempio, la possibilità di utilizzare il legname delle foreste sia per uso pubblico che privato) che migliorarono le condizioni di vita della popolazione locale e diminuirono le frequenti contese con gli abitanti oltreconfine. Comune nel 1832, Albareto fu privato di questo titolo meno un secolo dopo, nel 1928, per esserne poi di nuovo insignito nel 1946. Il paese è vario e articolato: da Montegroppo, ultimo confine del Monastero di S. Colombano, da Codogno, Cacciarasca, La Folta, con il suo antico e caratteristico campanile, Boschetto, Pieve di Campi fino a Bertorella. Il tutto racchiuso fra due vallate confluentisulla destra del Taro. Valle Arcina e la più nota valle del Gotra e il fondo valle Borgotaro. Un territorio molto boscato e con abbondanti foreste di faggio, racchiuse in un bacino imbrifero naturale caldo-umido,costituisce l’ambiente ideale per l’habitat di miceti di qualità tale da far meritare ad Albareto il titolo di Capitale del Porcino. Una iniziativa, complementare in agricoltura ma in funzione del turismo locale, è l’allevamento per la produzione di avanotti di trota, sorto a Borghetto in Val Lecora, dove il villeggiante può dilettarsi alla pesca.
(fonte: Ferrarri, Mito tradizione storia, 1983)
La più antica testimonianza della storia umana toccata dai sentieri della Val Gotra è la famosa pietra di Ribone. In prossimità del passo dei Due Santi si sfiora il monte Ribone sulla cui sommità, costituita da un piccolo pianoro, è stata rintracciata una pietra recante un’iscrizione in caratteri etruschi.
Il tracciato Bratello-Due Santi-Gotra-Centro Croci ha cominciato ad assumere una discreta importanza solo durante la guerra greco-gotica (535-553) quando, dovendo frenare l’impeto delle bande gotiche, i guerrieri bizantini dovettero costituire una serie di fortificazioni.
Fu probabilmente in quegli anni che si determinò una delle pochissime tracce toponomastiche che ci siano rimaste della popolazione gotica.
A metà del percorso considerato possiamo trovare ricche tracce della loro presenza: il Monte Gottero, il torrente Gotra che viene attraversato in prossimità di Boschetto, il rio Gotrino (fra le famiglie che abitano gli opposti versanti di questa imponente cima appenninica si può ricordare, il non frequente ma antico, cognome Gotelli). La più antica denominazione che ci sia rimasta di tale monte, Gautera in un documento del 641, ne dimostra pienamente l’antichità e la derivazione dalla radice Gauth (Il nome etnico dei goti nelle fonti greche e latine del VI secolo era Gautoi, Gauthigoth, una loro divinità era nominata Gautar). Sfortunatamente qui, come del resto in tutti i luoghi occupati dai goti, non sono rimaste tracce archeologiche che provino se il nome derivi da una scontro in cui i Goti si videro impegnati o da una loro presenza più stabile e continuativa. Dopo gli anni bui e tragici della guerra fra Goti e Bizantini il limes bizantino non venne abbandonate ma dovette essere utilizzato per fronteggiare una nuova invasione: i longobardi. Grazie alla presenza di questo limes sappiamo che la Liguria, allora Marittima, non capitolò immediatamente sotto Alboino ma resistette fino a Rotari (641). La presenza longobarda dovette essere particolarmente significativa e rimase solidamente presente nella toponomastica attuale. Se ne trova traccia sia nei toponimi che si incontrano lungo il crinale (Bratello, Bratto, Braiole, la fontana di Breda, La Breia, La Bratta). Alcuni di questi nomi derivano dal termine longobardo per designare un campo incolto o maggese. In tedesco il termine brachen ha per l’appunto questi significati (per esempio il passo del Bracco, tra Genova e La Spezia). In longobardo braida o breida significa zona pianeggiante o pianoro. Nel periodo altomedievale il termine passò a designare un appezzamento di terreno coltivato intensivamente, per esempio un orto o un frutteto. Da non dimenticare poi il monte Schieggia, che, con il torrente Schiena e il Prà de Schei, ha in comune la radice sk- tipica delle parole di origine longobardica (tra cui le parole italiane scaffale, scossalino, etc. Di grande interesse è il Prato di capra morta. Questo toponimo (apparentemente legato al semplice ritrovamento della carcassa di qualche animale) nasconde un momento storico di grande importanza. Il culto (ed il conseguente sacrificio e quindi morte) della capra e della vipera erano uno dei due principali culti pagani praticati dai longobardi non ancora cristianizzati al loro arrivo in Italia. Si sa che, soprattutto in montagna e lontano dai grandi centri, i culti pagani sopravvissero molto più a lungo che non altrove. Inoltre sappiamo che il toponimo di capra morta è di grande antichità comparendo per la prima volta nel testamento di Plato Platoni del 1022 e per di più è un toponimo situato all’interno di una zona dove praticamente tutti i luoghi recano l’impronta linguistica longobarda. Dal periodo longobardo all’anno mille quasi tutta la zona divenne proprietà fondiaria dell’abbazia di Bobbio e nelle numerose donazioni degli imperatori troviamo diversi riferimenti alla zona presa in considerazione. Dai percorsi di crinale scendiamo al centro abitato di Buzzò, ricco di esempi significativi di architettura spontanea dei secoli XVII-XVIII, e avamposto dalla diocesi di Brugnato nel territorio parmense. Vicino sorgono gli antichi borghi di Casale e Case Bosini. Questi due borghi, separati dal monte Schieggia, di cui si è già parlato, fanno parte di quella costellazione di piccoli centri che diede origine all’attuale comune di Albareto, privo di un centro vero e proprio fino al secolo XIX. Di essi si parla dal secolo XII nel registro dei beni goduti per feudum della comunità di Piacenza indicandoli come già appartenenti alla corte di Albareto: in Curia Albareti, in Moliis, In Mamponeto, In Grossis de Albareto (Oggi Case Bosini) Insolegiam et Costam de casale, etc. In queste aree di mezza costa sono frequenti le località che mantengono una traccia evidente del periodo feudale: Cadonica, prato Donnico, terra donnica, o anche prato della corte, filari della corte e ancora, nei pressi di Cadonica, della Torre. Dopo Casale e prima di Case Bosini si interseca la strada che conduceva al Faggio Crociato, passo di grande importanza, che vide il passaggio dell’esercito di Corradino di Svevia nel 1268 (guidato in questi passi montani dal suo alleato il conte Ubertino Landi). Nell’abitato di Albareto non vi sono resti significativi ad eccezione di due lapidi posti su un muro della chiesa che nell’attuale sistemazione risale al secolo XIX. La prima, più antica, risale al 1475 ed è probabilmente una lapide tombale anche se, a causa dello stato di degrado, non è stato finora possibile decifrarla completamente. La seconda, risalente al 1857, era stata composta e fatta incidere da Domenico Bosi per ricordare la costruzione della chiesa. Per quanto riguarda il nome di Albareto si deve riconoscere la derivazione da “luogo alberato” come del resto avviene per tutti i luoghi (in Italia una decina) che riportano questo nome con tutte le sue varianti (Albareto, Albaredo, Albaro). Tale etimologia è inoltre rafforzata dalla presenza di altri toponimi di chiara derivazione paesaggistica: Albareto, Mamponeto (mampon, in dialetto locale, è il lampone), Boschetto, Folta, Groppo. Vicino al capoluogo sorge il piccolo centro di Boschetto. Questo centro, costituitosi attorno al santuario omonimo deve le sue fortune ad un’effigie della Beata vergine ritenuta miracolosa dal 1638 quando una pastorella sordomuta riacquistò l’uso dei sensi.
Documento pubblicato
grazie alla concessione
e alla collaborazione della
Comunità Montana
delle Valli del Taro e del Ceno
Illustrazione di Paolo Sacchi
www.sakai.dk
AlbaretoALBARETO
Sorge sulla destra del torrente Gotra, nei pressi della confluenza con l’Arcina. L’edificato attuale è tutto di origine molto recente, sorto nel corso del XX secolo lungo la strada provinciale. I nuclei antichi, come Casale, Costello, Case Mirani, sparpagliati tra campi e prati, a ridosso del margine inferiore dei castagneti, dominano dai poggi la vallata. Tutti presentano, almeno in parte, le caratteristiche comuni degli edifici rurali dell’alta Val Taro: tetti in ciappe (lastre di arenaria a spacco), ingressi rialzati dotati di balchio, cioè di scalinata coperta, e passaggi a galleria tra le abitazioni.
La chiesa di S. Maria Assunta nel suo aspetto attuale risale alla metà del XIX secolo, ma la facciata è molto più recente. Più antico il campanile, datato 1738.
BUZZO’
Tra gli annosi castagni dell’alto bacino del Rio Uccellecchia sorge questo bel nucleo di edifici, alcuni con antiche iscrizioni sugli stipiti in pietra. La chiesa risale al XVIII secolo; molto caratteristica una fontana in pietra con abbeveratoia.
CacciarascaCACCIARASCA
Adagiata sul versante destro della valle del torrente Arcina è circondata dai boschi che scendono dal passo di Cento Croci; la chiesa risale alla metà del XVI secolo, ma è stata rifatta circa due secoli dopo.
CAMPI
Sorge sulla sponda destra del Taro, circondata da ampi prati ed annose siepi. La chiesa, dedicata a S. Giacomo, risale nel suo aspetto attuale al 1757.
CODOGNO
Sull’altro versante della Valle Arcina rispetto a Cacciarasca, sorge in parte intorno alla chiesa, in parte sulla costa che risale verso Cento Croci. La chiesa, S. Antonio Abate, è decorata dagli affreschi del prof. Romeo Musa, famoso xilografo bedoniese.
CampiFOLTA - TOMBETO
Piccoli nuclei ad un solo chilometro di distanza l’uno dall’altro, molto antichi come si evince dalle abitazioni in pietra dotate di balchio. La chiesa di Tombeto, del XVII secolo, è dedicata a S. Giovanni Battista; quella di Folta, probabilmente del secolo successivo, porta il nome di S. Maria Maddalena.
GOTRA
Piccola frazione vicina allo sbocco dell’Uccellecchia nel Taro, che negli ultimi anni ha conosciuto un rapido sviluppo urbanistico fatto di villette immerse nel verde. Il nucleo originario si stringe attorno alla chiesa di S. Michele, dal grande portale bugnato, che racchiude al suo interno un pregevole altar maggiore in marmo di Carrara.
FoltaGROPPO
La chiesa di S. Pietro risale al ’600, mentre il vicino campanile sembra del secolo successivo. In una cappella della chiesa è visibile una decorazione a fresco, raffigurante la Storie della Vergine ed i Quattro evangelisti, di scuola genovese dell’inizio del XVII secolo. Inoltre è conservata una croce datata alla fine del ’400.
MontegroppoMONTEGROPPO
Ai piedi del M. Gottero, sui due versanti del torrente Gotra, che qui scorre rapido e spumeggiante ancora all’inizio del suo corso, sorgono alcuni piccoli nuclei di abitazioni, immersi nel verde dei pascoli e dei castagneti, che complessivamente prendono il nome di Montegroppo. Il nucleo principale sorge intorno alla chiesa, risalente al secolo XIX, dallo svettante campanile datato 1867.
PIEVE DI CAMPI
Sorge sull’ampio terrazzo antistante il Taro, allo sbocco del torrente Lubiana. I piccoli edifici, dotati di balchio, fanno da corona alla chiesa, nel cui abside si riconosce la struttura originaria, antecedente alla ristrutturazione del 1579, prima di una lunga serie di restauri. Il campanile è del 1886.
San QuiricoSAN QUIRICO
Dirimpetto ad Albareto, questa frazione si arrampica sul crinale che divide il Gotra e l’Arcina prossimi alla confluenza. La chiesa risale al 1785, anche se è stata oggetto di rifacimenti negli ultimi due secoli; la campana è datata 1488.
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Illustrazione di Paolo Sacchi
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San Venanzio (594-603) uno dei Vescovi di Luni anticaDiverse sono le vie di accesso che conducono al Passo dei due Santi (Faggio crociato).
La prima, la più antica è quella che vi giunge attraverso la cosidetta "Pià lastra". Questa via interseca il canale di Miravescovo e costeggia la pietra omonima.
Questa pietra, un cubo di arenaria di circa un metro e mezzo di lato, presenta, al suo centro, un foro di forma grossolanamente emisferica.
Una leggenda racconta che il vescovo di Luni cadendo da cavallo, spaventato dall'apparizione del demonio, vi impresse con il capo un foro di dimensioni e forma corrispondenti.
In realtà la pietra è una cappella dell'età del bronzo dotata, anche in periodo protostorico, di una reputazione mistico-sacrale tale da farla guardare con sospetto dalle istituzioni cristiane alto medievali.
E' probabile che tutto il luogo fosse dotato di questa aura.
Per questo motivo vi era la necessità di inserire la pietra all'interno di una leggenda di ispirazione cristiana (la caduta del Vescovo di Luni).
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Illustrazione di Paolo Sacchi
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